Corte cost. 11-05-2006 (04-04-2006), n. 196 (ord.)
Corte cost. 11-05-2006 (04-04-2006), n. 196 (ord.)
ORDINANZA
Nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito della nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del 20 marzo 2003, n. SHD/2/2312 (recte: n. SDH/2/2312) recante : "Istruzioni in merito all'applicazione del parere del Consiglio di Stato sul riparto delle competenze in materia di concessione di beni del demanio marittimo e zone di mare ricadenti nelle aree marine protette", promosso con ricorso della Regione Campania, notificato il 30 maggio 2003 e depositato in cancelleria il 6 giugno 2003, iscritto al numero 20 del registro conflitti del 2003.
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 4 aprile 2006 il Giudice relatore Sabino Cassese;
uditi l'avvocato Vincenzo Cocozza per la Regione Campania e l'avvocato dello Stato Anna Lidia Caputi Jambrenghi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che la Regione Campania ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo a questa Corte di dichiarare che non spetta allo Stato e, per esso, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, di svolgere le attività amministrative e, in particolare, di rilasciare le concessioni demaniali nelle aree marine protette;
che la Regione Campania chiede, conseguentemente, l'annullamento della nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio-Direzione per la difesa del mare 20 marzo 2003, n. SHD/2/2312 (recte: n. SDH/2/2312), recante "Istruzioni in merito all'applicazione del parere del Consiglio di Stato sul riparto delle competenze in materia di concessioni di beni del demanio marittimo e zone di mare ricadenti nelle aree marine protette", che avrebbe affermato l'esclusiva competenza dello Stato e, per esso, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, al rilascio delle concessioni sul demanio marittimo ricadente nelle aree marine protette;
che la richiesta di annullamento della nota ministeriale è fondata su quattro motivi:
- con il primo, si eccepisce la violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, nonché dell'art. 118 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59). La Regione osserva che la nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio investe, «per larga parte un ambito materiale, quello relativo ai "porti", che il legislatore ordinario (anticipando, per certi aspetti, i profili della riforma costituzionale) ha, progressivamente, affidato alle autonomie territoriali; e, più in generale la gestione del territorio nonché la valorizzazione dei beni culturali e ambientali». La Regione osserva che già il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) aveva delegato alle Regioni, nell'ambito della materia "turismo e industria alberghiera", tutte le funzioni amministrative sul litorale marittimo e sulle aree demaniali immediatamente prospicienti, quando l'utilizzazione avesse finalità turistiche. Successivamente, «nell'ottica [...] del superamento sia del limite funzionale della finalità turistica, sia di una visione solo centralista della gestione dei beni ambientali», la legge 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale) ha attribuito alla competenza regionale le funzioni amministrative concernenti le opere marittime relative ai porti di categoria II, classi II e III, riconoscendo altresì alle Regioni la facoltà di intervenire con proprie risorse per la realizzazione delle opere di grande infrastrutturazione negli stessi porti. Quindi, il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materie di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), in materia di servizi pubblici di trasporto d'interesse regionale e locale, ha ampliato ulteriormente le funzioni amministrative regionali in materia portuale e di servizi marittimi. Infine, l'art. 105 del d.lgs. n. 112 del 1998 ha conferito alle Regioni tutte le funzioni amministrative nel settore e, segnatamente, quelle relative «al rilascio di concessioni di beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia» (con l'unica eccezione di cui all'art. 105, comma 2, lett. e, secondo periodo): formulazione così chiara, secondo la Regione, da non lasciare dubbi sulla competenza regionale in ambiti che, invece, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio pretende, con la nota impugnata, di riservare in via esclusiva allo Stato. I «vizi di legittimità» e l'«invasione di competenza» della menzionata nota sarebbero, poi, addirittura «evidenti» dopo l'emanazione del nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione, data, in particolare, «l'espressa attribuzione di una potestà legislativa concorrente alla Regione in materia di porti e di governo del territorio, nonché di valorizzazione dei beni culturali e ambientali»;
- con il secondo, si eccepiscono la violazione degli artt. 114, 117 e 118 della Costituzione, la violazione della legge della Regione Campania 26 luglio 2002, n. 16 (Bilancio di previsione per l'anno finanziario 2002 e bilancio pluriennale per il triennio 2002-2004) e la «lesione della sfera di competenza costituzionalmente garantita della Regione». La ricorrente, sul presupposto che la materia portuale ed il governo del territorio, nonché la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, sono inseriti fra le materie di competenza legislativa concorrente, reputa inammissibile «la riserva allo Stato delle funzioni amministrative in materia ed, in particolare, per il rilascio di concessioni demaniali»; né, aggiunge, «alcun rilievo può avere la circostanza che, nel caso di specie, si tratti di aree marine protette»; infatti, la competenza esclusiva in materia ambientale, che l'art. 117 della Costituzione attribuisce allo Stato, «non consente di escludere qualsiasi intervento regionale in settori che, pur intersecandosi con esigenze di tutela ambientale, risultano attribuiti alla sfera di competenza regionale», in quanto è «irragionevole ritenere che, attraverso sovrapposizioni di settore, sempre possibili ed anzi frequenti, non essendo pensabile una definizione netta e separata degli ambiti materiali, lo Stato possa riappropriarsi, peraltro in via assoluta senza recuperare alcun ruolo dell'ente territoriale, di spazi di intervento che il legislatore costituzionale ha definitivamente attribuito alle Regioni». Ciò, a maggior ragione, quando si tratta di ambiti che rientrano in "materie trasversali", nelle quali ben possono esercitarsi competenze regionali e competenze dello Stato, a questo spettando «le determinazioni che rispondono a esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale». Del resto, secondo la ricorrente, la Corte costituzionale (sentenza n. 407 del 2002) ha definitivamente chiarito che, riguardo alla protezione dell'ambiente, non è venuta meno la preesistente legittimazione di interventi regionali diretti a soddisfare «ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato». Conclusivamente, sulla scorta del disegno costituzionale complessivo e della giurisprudenza costituzionale, «nella vicenda in esame spetta allo Stato individuare gli standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale», nonché di fissare i principi fondamentali disciplinando esclusivamente «il modo di esercizio della potestà legislativa regionale», mentre «spetta alla Regione porre la normativa che disciplini l'organizzazione e le funzioni relative, nonché l'esercizio delle funzioni amministrative connesse». E tale impostazione «è coerente con l'impianto costituzionale che, nella materia ambientale, distingue quanto riservato allo Stato, e cioè la tutela, e quanto riservato alla Regione, e cioè la valorizzazione». Peraltro, la riforma del Titolo V, ponendo sullo stesso livello la potestà legislativa dello Stato e quella della Regione - in virtù delle nuove formulazioni degli artt. 114 e 117 - non consente allo Stato di incidere, anche indirettamente, sulla nuova autonomia delle Regioni»;
- sempre nell'ambito del secondo motivo, osserva la Regione che, sul piano delle competenze amministrative nelle materie di legislazione concorrente, il "modulo distributivo" introdotto dall'art. 118 della Costituzione (attribuzione delle funzioni, in principio, ai comuni, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza: primo comma; titolarità, da parte dei comuni, delle province e delle città metropolitane, di funzioni proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze: secondo comma) comporta precise conseguenze. Anzitutto, le competenze non possono non essere attribuite dai soggetti titolari della relativa potestà legislativa nel settore di riferimento. In secondo luogo, con riguardo alle materie di potestà legislativa concorrente, compete alla Regione, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalla legge statale, di adottare una «normativa legislativa che determini l'assetto organizzativo più idoneo delle funzioni» ad essa spettanti. In quest'ottica, «non è ammissibile una impostazione che veda lo Stato attribuire (magari a propri organi, come nel caso di specie) competenze amministrative regolate da leggi regionali (differenti, dunque, da Regione a Regione)», laddove «la logica di sistema richiede una attribuzione di competenze fondata sulle specifiche competenze legislative, con il rispetto dei criteri di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza». Con riguardo, poi, all'ambito portuale, l'illegittimità dell'impugnata nota ministeriale emergerebbe anche dal suo contrasto con la legge della Regione Campania n. 16 del 2002, secondo cui (art. 8) «[c]on regolamento regionale, con parere obbligatorio delle competenti commissioni consiliari, è operata la catalogazione dei porti di interesse regionale ed interregionale di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, art. 4, comma 1, lettera d), e comma 3, lettera e), anche al fine delle connesse e conseguenziali disposizioni delle compartecipazioni di gettito di tributi erariali riferibili al territorio della Regione». Ad avviso della ricorrente, tale disposizione esprime il legittimo intervento della Regione in un settore di propria competenza, con conseguente illegittimità dell'atto statale che pretende di disporre in contrasto con quanto ha stabilito il legislatore regionale;
- con il terzo motivo, si deduce ancora la violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, sul presupposto che le aree di cui si discute abbiano vocazione turistica. Posto, infatti, che l'ambito materiale "turismo e industria alberghiera" (precedentemente oggetto di potestà legislativa concorrente) non compare nell'art. 117 della Costituzione, né risulta rifluito, neppure parzialmente, in alcuna delle formule contenute nel secondo e terzo comma dello stesso art. 117, se ne deve dedurre che il settore è ormai attribuito alla competenza legislativa residuale (esclusiva) delle Regioni e che tale attribuzione comprende, in una interpretazione per così dire "funzionale", tutto ciò che è connesso all'interesse turistico;
- con il quarto motivo, infine, si eccepisce la violazione degli artt. 114 e 117 della Costituzione e del principio di leale collaborazione. La determinazione ministeriale, infatti, escluderebbe del tutto, stando alla formula verbale adoperata, l'intervento regionale, non recuperando per esso alcun margine, neanche in sede meramente collaborativa;
che, per la Presidenza del Consiglio dei ministri, si è costituita l'Avvocatura dello Stato, eccependo l'inammissibilità, l'improponibilità e l'infondatezza del ricorso;
che, in prossimità dell'udienza, l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria, nella quale insiste, anzitutto, sull'inammissibilità del ricorso. Ciò, sia per carenza di lesività dell'atto impugnato (trattandosi di una "mera istruzione" indirizzata ai soggetti gestori e alle capitanerie di porto operanti nelle aree marine protette, a seguito del parere del Consiglio di Stato, sez. II, 16 ottobre 2002, n. 2194), sia perché esso non riguarda in alcun modo né la materia dei porti, né quella dei trasporti, sia - infine - perché il conferimento a Regioni ed enti locali di funzioni relative al rilascio di concessioni su beni demaniali per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia non equivale a conferimento di tutte le funzioni amministrative riferentisi al demanio marittimo (sentenza n. 150 del 2003);
che, nel merito, l'Avvocatura ribadisce l'infondatezza del ricorso, dal momento che, come ritenuto dal Consiglio di Stato nel menzionato parere, le concessioni di cui all'art. 19, comma 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), in quanto espressamente previste «per le finalità di gestione dell'area medesima», e cioè per fini pubblicistici di tutela ambientale, «si diversificano nettamente, per presupposti e interessi perseguiti, dalle altre concessioni demaniali marittime previste dall'art. 105 d.lgs. n. 112 del 1998 e dal codice della navigazione», con la conseguenza che, anche ai sensi degli artt. 69 e 77 dello stesso decreto n. 112, esse permangono di competenza dello Stato;
che, alla pubblica udienza, la difesa della Regione ha dato atto che, in sede di Conferenza unificata, è stata raggiunta, il 14 luglio 2005, un'intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), in materia di concessioni di beni del demanio marittimo e di zone di mare ricadenti nelle aree marine protette (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 174 del 28 luglio 2005), e che l'Avvocatura generale dello Stato ha insistito per l'inammissibilità e, comunque, per l'infondatezza del ricorso.
Considerato che la Regione Campania ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo a questa Corte di dichiarare che non spetta allo Stato e, per esso, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, di svolgere le attività amministrative e, in particolare, di rilasciare le concessioni demaniali nelle aree marine protette;
che la Regione Campania ha chiesto, nel suo ricorso, l'annullamento della nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio-Direzione per la difesa del mare 20 marzo 2003, n. SHD/2/2312 (recte: n. SDH/2/2312), recante "Istruzioni in merito all'applicazione del parere del Consiglio di Stato sul riparto delle competenze in materia di concessioni di beni del demanio marittimo e zone di mare ricadenti nelle aree marine protette", che avrebbe affermato l'esclusiva competenza dello Stato e, per esso, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, al rilascio delle concessioni sul demanio marittimo ricadente nelle aree marine protette;
che la deliberazione della Giunta regionale della Campania del 9 maggio 2003 n. 1761, in base alla quale - ai sensi dell'art. 39, comma 3, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) - è stato proposto il ricorso in esame, indica nella parte dispositiva, quale oggetto dell'impugnativa, "il provvedimento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 12 marzo 2003 prot. n. DEM2A-1064/2002" e, cioè, un atto del tutto diverso da quello che forma oggetto del ricorso;
che, pertanto, non vi è corrispondenza fra l'oggetto del ricorso e il contenuto della delibera di impugnazione adottata dalla Giunta regionale;
che, a norma dell'art. 39, comma 3, della legge n. 87 del 1953, il ricorso per conflitto di attribuzione fra Stato e Regione «è proposto [...] per la Regione dal Presidente della Giunta regionale in seguito a deliberazione della Giunta stessa»;
che tale espressione - non dissimile da quella adoperata negli artt. 31, comma 3, e 32, comma 2, della stessa legge n. 87 del 1953 relativamente alla proposizione dei ricorsi con i quali si faccia questione della legittimità costituzionale di una legge di una Regione o dello Stato - implica la piena corrispondenza fra il contenuto della determinazione di impugnare l'atto e l'oggetto del ricorso per conflitto;
che tale corrispondenza soddisfa un'esigenza non soltanto di natura formale, ma sostanziale, poiché la legittimazione attiva (del Presidente del Consiglio dei ministri e) del Presidente della giunta regionale a proporre un conflitto dev'essere sostenuta da una determinazione impegnativa e inequivoca (del Governo o) della Giunta regionale, «e ciò per l'importanza dell'atto e per gli effetti costituzionali ed amministrativi che l'atto stesso può produrre» (sentenza n. 33 del 1962 e, con riguardo alle questioni promosse ai sensi dei menzionati artt. 31 e 32 della legge n. 87 del 1953, fra le molte, sentenze n. 300 del 2005, n. 286 del 2004, n. 238 del 2004, n. 43 del 2004 e n. 315 del 2003).
PER QUESTI MOTIVI
la Corte costituzionale
dichiara manifestamente inammissibile il conflitto di attribuzione per l'annullamento della nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio-Direzione per la difesa del mare 20 marzo 2003, n. SDH/2/2312, recante "Istruzioni in merito all'applicazione del parere del Consiglio di Stato sul riparto delle competenze in materia di concessioni di beni del demanio marittimo e zone di mare ricadenti nelle aree marine protette", promosso dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe.
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